Il Colore della Cenere

 

La serie è un racconto sospeso tra passato e mito, un sussurro che attraversa il tempo e lo rende carne, cicatrice, traccia che non si dissolve. Ogni polaroid è uno spiraglio sui ricordi, un lume che continua a brillare anche quando tutto sembra dissolversi. Invisibili, eppure presenti, le immagini trattengono l’eco di ciò che è stato e di ciò che avrebbe potuto essere.

 

La plastica è una protezione fragile e allo stesso tempo impenetrabile, una superficie che separa e custodisce, come una linea sottile che divide la memoria dal vuoto di un ricordo perduto. L’oro non è solo un decoro: è un segno tangibile della fragilità trasformata in forza, una ferita che si apre e si mostra. Le immagini non nascondono il dolore, lo rivelano. Ogni parola è un richiamo, ogni nome è un'identità che resiste, rifiutandosi di svanire.

Perché il tempo può consumare le cose, cancellare i contorni, inghiottire i giorni. Ma non può spegnere le storie che ancora chiedono voce. La memoria di queste donne, delicata e ostinata, torna a risplendere attraverso l'oro e la polaroid: frammenti di esistenze fragili e splendide che continuano a vivere nello sguardo di chi osserva.

 

Credits:

Hair Stylist & Mua: Antonio Porcelli
Models: Giulia Paltrinieri, Stefania Andarta De Piccoli, Serena, Elisabetta, Lisa, Giulia, Melissa, Matilde, 
Text: Nicoletta Cerasomma
 
 
 
 

il mio nome brilla nella storia di Lucca

Elisa Bonaparte Baciocchi emerge come una figura storica spesso trascurata, una donna di potere ridotta a un ruolo secondario. L’accostamento della sua immagine alla cartolina del Palazzo Ducale di Lucca, simbolo del suo governo stabilisce un ponte tra passato e presente. La polaroid sospesa, arricchita da simboli scintillanti, rende tangibile la memoria della sua figura: non più un'immagine sbiadita, ma una luce che emerge dalla cicatrice del tempo. Ogni frammento, dall'oro alla decorazione, non è solo estetico, ma un segno di riparazione e valorizzazione, una rivisitazione del suo ruolo e del suo impatto, sfidando l’oblio e restituendo dignità al suo operato. ‘Elisa Baciocchi Bonaparte’

la pietra custodisce ciò che il tempo vorrebbe cancellare

Il volto di Maria Luisa, avvolto nella cera, riflette l'effetto corrosivo del tempo su una figura che ha visto la sua storia piegata dal potere maschile. La cera, che funge da sigillo, è al tempo stesso protezione e condanna, trattenendo un dolore silenzioso che non ha mai trovato voce. La cartolina con la statua che la raffigura è un frammento di gloria, un simbolo che non racconta il tormento di una donna che ha dato alla città più di quanto abbia ricevuto. Le lettere recentemente ritrovate svelano aspetti inediti della sua esistenza: una sofferenza non raccontata che oggi è possibile riscoprire, donando luce a una figura oscurata dalla storia. "Maria Luisa di Borbone".

Eco di un desiderio immortale

La storia di Lucida Mansi, intrisa di potere e vanità, si riflette nell’oro che ne esalta la bellezza, ma al tempo stesso segna la cicatrice di un destino oscuro. La polaroid, sospesa tra luce e ombra, diventa il palcoscenico della sua tragica leggenda, dove ogni bagliore dorato è il riflesso di un desiderio insaziabile di giovinezza, mentre i brillanti neri nascosti nell’ombra evocano la dannazione conseguente. L’oro non è solo ornamento, ma traccia incisa nel tempo, segno di una ferita storica e personale che continua a pulsare nel mito. "Lucida Mansi".

Dalle ceneri del passato ho creato arte

La polaroid, segnata da polvere e usura, non maschera la fragilità di Teresa, ma la esalta. La crepa dorata che attraversa il suo volto diventa simbolo di un percorso che, pur segnato dal tempo, non si cancella. La cenere, simbolo di dissoluzione, si fa contrasto con l’oro, che illumina la memoria, restituendo vita a ciò che sembrava perduto. La cicatrice dorata non nasconde la bellezza e la forza di Teresa, ma le dà nuova forma, trasformando la dissoluzione in un atto di resistenza. La memoria non si cancella, si riscrive. “Teresa Bandettini".

Fragile ma incorruttibile

L’immagine di Ilaria del Carretto, intrappolata tra la realtà della morte e la leggenda di una bellezza immortale, diventa una riflessione sulla fragilità della vita e sull'incorruttibilità della memoria. La polaroid cattura l’immagine di una donna che richiama il tema della maternità e della morte: morta dopo aver dato alla luce un figlio, avvolta nel mistero della sua morte. Le macchie sul foglio parlano della corrosione del tempo, ma anche della persistenza del ricordo. Ilaria, eterna nella sua scultura funebre, è simbolo di una bellezza fragile ma incorruttibile, un’assenza che continua a farsi presenza. La sua immagine resiste al tempo come le donne che ancora oggi sfiorano la sua statua, cercando nel marmo la voce della sua assenza. "Ilaria del Carretto".

Umiltà

In questa immagine le croci richiamano l'iconografia medievale, mentre il semicerchio d'oro evoca l’aureola bizantina, simbolo di una luce che illumina la santità di Santa Zita, capace di vivere ogni giorno con compassione, umiltà e perseveranza. Nei gesti più semplici Dio le si rivelava. L’omaggio a Santa Gemma Galgani, che accolse la corona di spine per condividere la Passione di Cristo, intreccia una dimensione mistica al dolore. La corona di spine di Gemma suggella un destino comune: un legame eterno di sofferenza, redenzione e amore. “Zita e Gemma".

La mia voce è oro

La polaroid, arricchita da tocchi dorati e brillanti, crea un contrasto potente tra la fragilità dell’immagine e la solidità del ricordo. La cartolina, che porta con sé l’eco di un passato lontano, ci invita a esplorare la narrazione di una donna che ha lasciato tracce nel silenzio. I dettagli brillanti diventano segni di un percorso non detto, un viaggio fatto di resistenza e silenziosa lotta contro il tempo che tende a dimenticare. La stratificazione dei materiali evoca la necessità di esplorare il passato per comprendere il presente, e il messaggio nascosto invita a riscoprire ciò che è stato sommerso.

Le mie parole sono stelle

La polaroid, arricchita da collage di figure femminili e profili in nero e oro, si fa icona di un tempo che rifiuta di sbiadire. Ogni stratificazione di materiali diventa simbolo di una lotta contro l’invisibilità, tracciando la memoria di un talento che ha sfidato i limiti imposti dalla sua epoca. Ballerina, poetessa, improvvisatrice, Teresa è la luce di un tempo che ha cercato di soffocarla. “Teresa Bandettini".

Fiorire nel silenzio

Il ritratto di Teresa Bandettini come ballerina racchiude il dualismo della sua esistenza: corpo e parola, danza e poesia. La sua carriera di ballerina fu il primo palcoscenico per un talento che si sarebbe poi riversato nella letteratura, diventando una voce inconfondibile. La cartolina e il testo scritto a mano aggiungono una dimensione epistolare, creando un dialogo intimo con il passato, un richiamo alla corrispondenza tra Teresa e i letterati della sua epoca. Le piccole rose applicate e le rifiniture in oro sulla Polaroid arricchiscono l’opera di un simbolismo delicato e raffinato. La rosa, simbolo di bellezza e fragilità, si intreccia con la storia di Teresa, rimandando ai "fiori poetici" —versi improvvisati e fugaci—che lei stessa creava, effimeri ma intensamente vivi. La memoria di Teresa, come quei fiori, sfida l’oblio, preservata nell’oro, sospesa tra fragilità e splendore. "Amarilli Etrusca"

Profumo di ciò che è stato

L'uso della polaroid, legato all'istantaneità, si sovrappone all'iconografia storica delle carte de visite ottocentesche, creando un contrasto che amplifica la sospensione temporale. La donna ritratta diventa un'eco tra mito e realtà, una figura persistente ma inafferrabile. L'oro, applicato non come decorazione ma come cicatrice luminosa, esalta la ferita invece di nasconderla. La memoria non è negata, ma riscattata, e l’oro, come un simbolo di rinascita, esprime la continua resistenza di una donna la cui storia ha superato le distorsioni del tempo. ‘Fantasima della Garfagnana’

Il mio profilo è maledetto solo da chi mi teme

La figura della strega, spesso perseguitata per la sua conoscenza e il suo potere, emerge attraverso un volto segnato dall'oro. Questo non è solo simbolo di sacralità, ma una ferita che il tempo ha inciso sulla sua identità. Il paesaggio in bianco e nero è testimone silenzioso della storia, ci riconduce ai luoghi in cui ha vissuto, o forse allude all’esilio, alla distanza, all’isolamento. Il tulle, delicato e trasparente, vela il passato senza cancellarlo, come un ricordo che resiste. "Pulisena".

Eterna come il peccato

In questo ritratto, la donna diventa simbolo di una dualità irrisolta: il potere della conoscenza e la condanna che ne è derivata. Le gemme dorate, che evocano amuleti e lacrime, raccontano una storia di destino e sofferenza, legate a un sapere antico e rimosso. Il nero che avvolge una parte dell’immagine è l’oscurità imposta dalla storia, un'ombra che nasconde, ma non cancella. La fotografia, arricchita da un ritaglio di giornale del 1929, è un richiamo a un'epoca in cui il pensiero femminile veniva relegato a superstizione, ma che oggi emerge come atto di resistenza e riscatto.

Un sogno che nessuno può catturare

L’intervento con la foglia d’oro trasforma l’immagine in una sacra icona frammentaria, dove l’oro non è solo estetica, ma ferita, assenza e al tempo stesso rivelazione. Il volto cancellato diventa simbolo di un’identità negata, ma anche sacralizzata. La cartolina, già frammento di memoria, connette passato e comunità, radici e storia collettiva. Il magnetismo diventa metafora dell'oscillazione tra ricordo e oblio, un’energia invisibile che lega l’assenza alla resistenza. Una polaroid alterata, una cartolina e un libretto si fondono in un archivio fragile di identità dimenticate, dove l’oro illumina l’assenza, trasformando il ricordo in resistenza. ‘Icona Perduta’

Eterna e invisibile come il vento

La polvere che deteriora l’immagine è una metafora del lento e inesorabile processo di cancellazione delle figure femminili dalla memoria storica. Ma l’oro, applicato in modo deciso sugli occhi, diventa un simbolo di quella visione che ancora resiste all’oscurità. Questa fotografia non è solo un oggetto, ma un codice da decifrare, dove il deterioramento evoca la lotta per il riconoscimento e la resistenza di chi è stato dimenticato. Il contrasto tra visibile e invisibile sollecita lo spettatore a confrontarsi con il vuoto e la presenza che convivono nell’immagine. ‘Fantasima della Garfagnana’


Nel cuore della chiesa di Santa Caterina, l’allestimento trasforma lo spazio sacro in un altare della memoria. Quattordici Polaroid in bianco e nero, racchiuse in buste trasparenti, pendono da un filo dorato che segna l’ingresso dell'absidiola. Ogni immagine custodisce frammenti di vite sospese nel tempo.

L’allestimento, minimalista e intimo, dialoga profondamente con il contesto storico e spirituale della chiesa. Le fotografiche, avvolte in sottili involucri trasparenti, evocano un senso di fragilità e transitorietà. Al centro dell’absidiola, su un piedistallo velato dall’ombra, si erge la statua della Madonna, presenza silenziosa che osserva e custodisce. Icona di amore e compassione, il suo sguardo abbraccia le immagini sospese, testimoni di storie che trovano voce in questo santuario di memoria, dove il calore dell’accoglienza divina si contrappone alla fragile caducità dell’esistenza umana.

Le superfici trasparenti e lucide interagiscono con la luce della chiesa, dando vita a giochi di riflessi e ombre. La luce anima le immagini, rendendole eteree, mentre i riflessi inducono chi osserva a interrogarsi su ciò che si cela dietro ogni volto. La luce si fa simbolo di speranza e rivelazione, trasformando lo sguardo dello spettatore in un’esperienza in continua evoluzione, come il legame personale con la memoria e le storie narrate. Il filo dorato si tende come un legame invisibile e indissolubile, a ricordare che ogni storia appartiene a un orizzonte più ampio. Le immagini sembrano fluttuare come anime in bilico tra il terreno e lo spirituale. La loro disposizione libera e non gerarchica suggerisce l’uguaglianza di ogni vita, al di là di ogni contesto storico o personale. Sullo sfondo, il muro affrescato e consunto dall’usura diventa a sua volta testimone di memorie, intrecciando la propria storia con quella delle immagini.